Lapidazione di Santo Stefano

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Autore: Ignoto pittore (Seconda metà sec. XVI – prima metà sec. XVII)

Datazione: Prima metà sec. XVII

Materiale: Olio su tela

Dimensioni: cm 200 x 160

Luogo: Milazzo, duomo di Santo Stefano Protomartire.

Il dipinto, collocato originariamente nel secondo altare della navata di sinistra dell’antico Duomo di Milazzo, è oggi visibile sulla parete del presbiterio nella moderna matrice. Gravemente lacunoso lungo i margini, forse per danno dovuti al trasferimento di sede, è stato adattato, con l’aggiunta di due inserti lignei, ad una ricca cornice in legno intagliato a rigogliosi motivi fogliacei di gusto barocco tardo seicentesco. La sovraffollata scena si riferisce al momento in cui il protomartire Stefano in ginocchio, con la dalmatica da diacono e lo sguardo rivolto alla Trinità, subisce la violenza della folla e la lapidazione. Il giovane in lorica, che indica il santo guardando verso l’osservatore esterno, è Saulo, il futuro San Paolo, ai piedi del quale, secondo il racconto evangelico, i testimoni del martirio deposero i loro mantelli (Atti degli Apostoli, 7, 58).

Alla figura di Santo Stefano, uno dei sette discepoli prescelti per il servizio delle mense affinché gli apostoli dedicassero maggior tempo alla predicazione e alla preghiera, è legata l’istituzione del ministero diaconale. Accusato di aver pronunciato parole blasfeme contro Dio e Mosè, fu portato dinanzi al Sinedrio dove pronunciò un lungo discorso che, biasimando gli ebrei per aver permesso l’uccisione di Cristo trascurando le predizioni dei profeti, suscitò le ire degli anziani. Il culto del protomartire a Milazzo è di antica data, la tradizione locale narra della scoperta, nel 1461, di alcune reliquie conservate nell’antica chieda di S. Maria del Boschetto e identificate vent’anni dopo come frammenti del suo braccio, grazie all’interpretazione di alcuni documenti. Nel 1521, con la conferma dell’autenticità delle reliquie, si cominciò a festeggiarlo eleggendolo a patrono della città e nel 1680 la matrice di Milazzo, originariamente intitolata a S. Maria Assunta, fu consacrata anche a Santo Stefano dall’Arcivescovo Cicala.

L’ opera, senza precisi riferimenti documentari, è stata assegnata concordemente dalle fonti locali al pittore messinese Letterio Paladino e datata al 1729. Distante dalle trasparenze tardobarocche settecentesche quanto al raffinato naturalismo novellesco, il dipinto dichiara apertamente le proprie fonti di matrice cinquecentesca toscoromana. Di impianto tardo manierista, improntato all’austerità controriformata, rielabora le due versioni del soggetto realizzate da Giorgio Vasari, negli anni Settanta, per Pisa e per la Cappella di Santo Stefano in Vaticano, tenendo presente anche la tavola dipinta da Giulio Romano intorno al 1521. Le numerose figure si accalcano nella scena impostata su un unico piano pressoché privo di profondità prospettica e ruotano attorno al fulcro della composizione costituito dal santo che, con gli occhi e il gesto delle mani, conduce lo sguardo verso la parte superiore occupata dalla Trinità in un coro di angeli, in adesione alla rigida bipartizione di marca controriformista.

La tela evidentememte soggetta a numerosi danni e manomissioni che ne hanno alterato il tessuto pittorico non consentendo una lettura puntuale, mostra il prevalere di toni bruni, appena ravvivati dalla luminosità dorata dell’apparizione divina e dal rosso del drappo che con un articolato svolazzo copre il Cristo. L’autore attinge al vasto repertorio di forme e pose offerto dalle pale d’altare dei pittori di formazione fiorentina operanti tra fine Cinque e inizio Seicento, che ebbero un ruolo determinante anche nella produzione artistica romana di questi anni e dei quali giunsero varie opere in Sicilia. Nella tela milazzese sono leggibili echi della pittura di Filippo Paladini, di Agostino Ciampelli, di Domenico Cresti detto il Passignano, dai quali deriva la compostezza e la semplificazione delle forme destinate a correggere, attraverso una maggiore naturalezza, le ricercatezze formali e i raffinati cangiantismi cromatici manieristi, appena rievocati nella lorica del giovane Saulo.

Attingendo a questi modelli l’artista arricchisce i precedenti vasariani con l’aggiunta di varie figure, come il soldato a cavallo o il bambino sulla sinistra che, illuminato, emerge dietro la figura dell’aguzzino mettendone in evidenza la silhouette in controluce. Qualche sgrammaticatura nella definizione anatomica di alcune figure, probabilmente imputabile ad interventi successivi, non sminuisce la qualità dell’esecuzione che, tuttavia, non è possibile attribuire ad una precisa personalità artistica. L’assenza di riscontri stilistici nella coeva produzione siciliana induce a supporre che non si tratti di un artista locale. Tutti i dati formali, comunque, riportano l’esecuzione del dipinto non oltre la prima metà del XVII secolo; si può ragionevolmente supporre che sia stato commissionato prima della consacrazione dell’altare al santo, anche in considerazione della diffusione del culto a Milazzo fin dai primi decenni del Cinquecento.

 

Buda V., Lanuzza S. (a cura di), Tesori di Milazzo. Arte sacra tra Seicento e Settecento, Milazzo 2015.